venerdì 22 febbraio 2013

Capitolo 3- Scirocco


Da giorni i quotidiani locali e nazionali riportavano il caso della misteriosa sparizione ed anche quella mattina le dichiarazioni del pentito erano in prima pagina, sottolineate da enormi titoli. Con i 40 gradi all’ombra e l’elevata umidità dello scirocco che soffiava ormai da una settimana, la cronaca nera aveva rubato spazio alle previsioni del tempo.
Quando le notizie scarseggiano le previsioni del tempo sono un lavoro assicurato per i giornalisti. Più volte al giorno e tutti i giorni i bollettini sulle temperature bersagliano gli ignari ascoltatori televisivi. Ricordano loro che ogni stagione è la peggiore degli ultimi 10 anni ed allarmano la gente per il ghiaccio, le valanghe, il pericolo di siccità, i black out e le catastrofi naturali associate ai cambiamenti del clima. Dispensano generosamente consigli su cosa mangiare, sull’ora più opportuna per uscire, su cosa indossare. Inoltre, col passare degli anni, i bollettini diventano più dettagliati, i valori dell’umidità relativa campeggiano accanto alle temperature massime e minime e sono affiancati da tabelle e calcoli sulla temperatura percepita.
 Rossella pensava a quale dovesse essere la temperatura percepita a quell’ora del giorno, mentre, col giornale appena comprato, si trascinava, oppressa dalla calura, verso casa della nonna Nina.
Trovò l’anziana in sottoveste bianca, che si faceva aria con un ventaglio. I capelli, anch’essi bianchi, erano leggermente umidi e pettinati indietro. Era tutta candida compresa la pelle. Anche in gioventù la nonna non aveva mai amato prendere il sole e, nonostante vivesse da anni a due passi dal mare, non aveva messo piede su una spiaggia, se non raramente.
-Scusami se sono svestita, ma fa troppo caldo-disse a mo’ di saluto.
Aveva sofferto il caldo tutte le estati della sua vita, ma da qualche anno, dietro suggerimento del figlio, aveva fatto installare in casa un condizionatore.
-Quella diavoleria!-esclamò indicandolo -non riesco ad accenderlo! Porse a Rossella il telecomando dell’apparecchio pigiando due o tre pulsanti con aria indispettita.
Il led giallo del condizionatore cominciò a lampeggiare ed una leggera aria fresca venne fuori silenziosamente dalle aperture longitudinali presenti sull’apparecchio.
Rossella sapeva che stava assistendo ad una specie di recita, e che la nonna odiava quell’elettrodomestico moderno che la costringeva a stare chiusa in casa, con le finestre e la porta sbarrata, priva di contatti con il mondo esterno. La sua finta incapacità di farlo funzionare le permetteva di ricevere le visite quotidiane dei familiari, che, preoccupati degli improvvisi colpi di calore “a cui sono soggetti gli anziani..” erano soliti accorrere di volta in volta ad accendere e a spegnere l’apparecchio.
-Non andare al mare, guarda come sei scura!- disse con disapprovazione porgendole una sedia. Poi continuò con tono lamentoso:
- Mi raccomando attenta dove vai, soprattutto la sera, chissà che fine ha fatto quella povera ragazza! -
Poi sussurrò a bassa voce, quasi temendo che potessero sentirla attraverso la finestra ancora aperta- Chissà chi frequentava...proprio come sua madre..
Rossella aveva sempre creduto che la nonna fosse la memoria storica del posto, capace di percorrere le generazioni, riconoscere le somiglianze e credere fermamente che i vizi venissero tramandati.
Aveva una sorta di snobismo universale secondo il quale il sangue degli altri era sempre meno nobile del suo. Eppure, ai tempi della sua giovinezza, gli insetti ematofagi non avevano fatto distinzioni classiste a riguardo.
Pensò che forse la nonna si riferisse alla nonna di Giulia, sua coetanea, non alla madre, visto che a volte faceva un po’ di confusione tra le generazioni. Questi piccoli errori erano probabilmente causati dall’età più che avanzata, o dal fatto che usciva di casa sempre meno di frequente, così che alcune storie ed i loro protagonisti erano conosciuti da lei solo attraverso il racconto indiretto di altri. Infatti, capitava che conoscesse di alcune persone solo la fama, senza averne mai scrutato i lineamenti.
-Forse conoscevi la nonna di Giulia- la corresse Rossella a voce alta in modo che potesse sentirla.
-Si, si infatti.. Come ti dicevo… - continuò - la signora Maria aveva perso il marito in guerra, o meglio era partito per l’Eritrea e non aveva fatto più ritorno. Pensavano fosse deceduto, anche se non era nelle liste dei caduti. Il farmacista le riceveva tutte le settimane e le leggeva ad alta voce in piazza, davanti alla farmacia, la domenica dopo la messa. Allora c’era sempre una gran calca, tutti si affollavano per ascoltare meglio, c’era chi si sentiva male per la gran folla, chi per le cattive notizie, chi piangeva perché le notizie dei congiunti non arrivavano proprio.
La signora Maria arrivava in lacrime già prima che il farmacista inforcasse gli occhiali per cominciare a leggere. Poi, un bel giorno non venne più. Si mise un uomo in casa ed ebbe da lui cinque figli.
Dicono che fece dichiarare il marito morto, prese la pensione di vedova di guerra e continuò a vivere con quell’uomo che non sposò mai, in maniera da non perdere il sussidio mensile che riceveva.
Ma la cosa più divertente- e rise di gusto- è che un giorno il marito tornò dall’Eritrea!
Era invecchiato, ma i vicini di casa lo riconobbero ugualmente, dissero che aveva dei baffi ben curati, e che indossava completo beige ed un elegante cappello, come usavano allora gli uomini benestanti.
Lo videro entrare in casa e, dopo qualche ora, uscire per non tornare mai più.
E pensare che era veramente un brav’ uomo! mentre il nuovo convivente la gonfiava di botte e le fregava la pensione. Faceva bene..-disse con un lampo di cattiveria inspiegabile.
Rossella la interruppe per farle notare che la finestra era aperta ed il condizionatore acceso e si alzò per chiuderla.
-Povera ragazza-continuò impietosita- se è sparita per mano della criminalità organizzata non se ne saprà più nulla.
-Lo penso anch’io –rispose Rossella pensierosa.
-Ci vorrebbe il maresciallo Beretta- replicò nostalgica- Sai, negli anni 40 in paese c’erano stati numerosi furti di bestiame ed alcuni omicidi, così mandarono dal nord un maresciallo che usava dei metodi poco ortodossi. Era molto persuasivo durante gli interrogatori e chiunque fosse convocato in caserma, sia che fosse testimone del reato o colpevole, o che ne avesse sentito parlare, confessava ciò che sapeva, i fatti erano ricostruiti ed i colpevoli assicurati alla giustizia.
Ricordo un uomo che lavorava in comune. A quei tempi c’era il razionamento ed ogni famiglia aveva una tessera con cui prendere il cibo che le era assegnato, gli alimenti erano in parte conservati nel magazzino comunale, di cui l’uomo era il custode. C’era una grande miseria, le famiglie erano numerose e la farina non bastava mai, lo zucchero non esisteva e figurarsi il caffè!
Ebbene, a volte mancava della merce dal magazzino, il custode prendeva qualcosa per sé o la rivendeva al mercato nero. Il più delle volte rubava dei sacchi di canapa o di tela che contenevano la farina e che si usavano per cucirci degli abiti.
Un giorno qualcuno lo denunciò. Il maresciallo lo rinchiuse in caserma e lo pestò a sangue tutta la notte, tanto che qualche mese dopo l’uomo morì per i danni riportati ai reni. Fu nominato un nuovo custode, ma l’evento impressionò così tanto la gente che non si verificarono più furti.
-Nonna, ma secondo te perché avrebbero dovuto uccidere Giulia? Tu ci credi a questa storia dei maiali?-chiese Rossella dubbiosa.

-Può darsi- disse, mentre riprendeva a sventolare il ventaglio facendo cenno di aprire la finestra.

Capitolo 2- Nord e sud




“La donna sparita, Giulia, si… la conoscevo di vista” disse Rossella al maresciallo che si affannava a registrare la sua dichiarazione compilando un modulo su un polveroso computer.
“Sai ora è tutto informatizzato”. Sembrò quasi giustificarsi, ed intanto digitava con estenuante lentezza le brevi dichiarazioni della giovane, sorridendo nervosamente per lo sforzo.
 “Purtroppo la stampante non funziona, aspettiamo che ci inviino un tecnico. Quando stamperò la tua deposizione ti chiamerò, così puoi passare a firmarla”.
Rossella annuì, indispettita dalla lentezza del pubblico ufficiale e dal caldo torrido che le rendeva la gola arsa.
Con un colpo di tosse si schiarì la voce per salutare l’uomo e si allontanò verso la porta. Il secondo carabiniere si alzò, si asciugò le goccioline di sudore che gli si erano formate sulla fronte, slacciò il primo bottone del colletto della camicia, e strattonandone il colletto, la seguì. Una volta che Rossella ebbe varcato l’uscio chiuse prontamente la porta della caserma. Era mezzogiorno, il suo orario di lavoro era terminato e gli uffici sarebbero rimasti chiusi fino all’indomani.
 Una caserma e due soli carabinieri erano più che sufficienti per quel piccolo paese in cui non succedeva mai nulla. La loro attività consisteva principalmente nella partecipazione a feste patronali, cerimonie religiose e funerali.
 L’ufficio era spesso deserto, raramente si presentava qualcuno per denuncie e querele, che riguardavano per lo più liti tra confinanti. Allora il maresciallo placava gli animi scoraggiando azioni legali, che, come diceva, sarebbero state una perdita di tempo per tutti.
Tuttavia, in quei giorni, la caserma sembrava presa d’assalto da persone di ogni età, che erano state informalmente convocate per fare qualche dichiarazione sulla ragazza scomparsa. Capitava, infatti, che i due carabinieri, aggirandosi per le vie del paese, invitassero amichevolmente i conoscenti in ufficio per fare la loro dichiarazione sui fatti.
Ed in un piccolo paese ci si conosce tutti, ci si incontra una volta o l’altra in qualche bar, a bere insieme per passare il tempo quando il mattino tarda a venire.
Però Giulia non era nata in quel posto, veniva dal nord, dove i suoi genitori erano emigrati alla fine degli anni sessanta per sfuggire ad un sud depresso, negli anni in cui il boom economico faceva sognare l’eleganza delle città, i vestiti alla moda ed un’automobile nuova fiammante.
Agognavano una vita migliore e nuove prospettive per i futuri figli, lontano da quel luogo in cui le giornate trascorrevano lente, le ragazze ascoltavano i Rolling Stones e indossavano le ciglia finte per percorrere i 500 metri che, dalla casa più lontana dell’abitato, portavano alla centrale e polverosa piazza.
Mentre il mondo cambiava il suo assetto, la lotta politica percorreva l’Italia, mentre lontano migliaia di chilometri un enorme numero di persone si ritrovava a Woodstock, in paese i giovani si stiravano i capelli, indossavano i pantaloni a zampa e le minigonne e aspettavano lenti che arrivasse la sera.
Giulia avrebbe avuto una vita migliore dei suoi genitori. Tenace, precisa, inarrestabile, a testa bassa come un mulo, era arrivata alla laurea in un batter d’occhio. Voti eccellenti e poi un bel lavoro.
Viaggiava molto Giulia per lavoro, Stati Uniti, Cina, Est Europa, ma ogni anno ritornava in paese. Forse perché era il luogo dorato della sua infanzia, che ritrovava ogni volta dopo plumbei viaggi in treni affollati e polverosi. Era il luogo delle interminabili serate con i parenti, il posto in cui gli adulti sedevano con le sedie sui marciapiedi davanti alla porta di casa a chiacchierare pigramente ed i bambini giocavano a nascondino nel buio quieto delle notti afose.
Ci doveva essere tornata mal volentieri da adolescente, quando pure il mondo intero è troppo piccolo, ed il paese, in cui tutto è eternamente fermo e uguale, doveva esserle sembrato assai noioso.
Chi viveva lì tutto l’anno aspettava l’estate con trepidazione, sognava l’arrivo di gente nuova, e che bar, strade e spiagge svuotate tornassero a vivere.
Le ragazze aspettavano gli amori estivi e i ragazzi di città che sembravano molto più belli ed alla moda di quelli che si vedevano girare in paese tutto l’anno. Avere una storia con un paninaro di città era come guardare giù dalle guglie del duomo di Milano, poteva far girare la testa.

I giovani sognavano la discoteca e non vedevano l’ora di poter scappare via.

Capitolo 1- Il pentito



I titoli del Telegiornale scorrevano scandendo la cena.
“Rivelazione shock del pentito: la ragazza sparita data in pasto ai maiali”…..“Ulteriore rincaro del carburante ..il petrolio sfiora i 137 dollari al barile ….”
-Al sud non succede niente che non sia manovrato dalla criminalità organizzata-sentenziò Guido tra i denti, mentre la figlia Rossella sembrava intenta a divorare avidamente una fetta di anguria.
In effetti la notizia del pentito avrebbe sollevato un gran discutere nei giorni seguenti. Intuitivamente un pensiero dubbioso di Rossella andò all’uomo che aveva fatto tali dichiarazioni. Lo immaginò nella sua cella di isolamento, intento a riflettere sulla rivelazione, sulla notizia che gli avrebbe consentito di migliorare la sua condizione, di sollevare un po’ di polvere per nascondersi dentro.
Doveva essere un esperto nel nascondersi, prima latitante tra i boschi dell’Aspromonte, poi nel bunker costruito nello stesso paese in cui aveva vissuto, tristemente famoso per fatti di cronaca nera: un cumulo di case immerso nelle aspre colline, brulle d’estate e verdeggianti durante il resto dell’anno e percorse da vigorose capre inerpicate in mezzo ai rovi ed ai fichi d’india.
Quel cumulo di case appare come un disordinato, selvatico ammasso di cemento allo sguardo di un inesperto visitatore, ma in realtà è quasi una città, in parte emersa e visibile, in parte sommersa e sotterranea, intricato groviglio di tunnel e bunker.
La città sotterranea è silenziosamente viva e popolata, almeno quanto la parte emersa. I latitanti ci vivono come topi tra stoviglie ed immagini sacre e dal sommerso governano l’emerso. Armi e munizioni viaggiano attraverso i tunnel, ed i tunnel sbucano nelle case, e le case sono collegate tra loro in una magnifica opera d’ingegneria votata al male.
Il pentito, nella sua cella, era al sicuro e non aveva paura, sapeva che i vecchi fratelli lo volevano morto. D’altronde aveva rischiato più volte di essere ucciso e almeno altrettante aveva ucciso. Sapeva che la morte fa parte della vita e forse molto di più della sua rispetto ad altre.
 “Alla pari dei becchini”, disse sommessamente con macabro umorismo.
Ripensò al vecchio proverbio “ Chi si fa i fatti propri vive cent’anni” e a quanta saggezza ci sia nei detti popolari. Eppure sentì che, nel suo interesse, era necessario fare qualche rivelazione.
Da qualche giorno si era diffusa una certa frenesia tra le guardie, le sentiva bisbigliare per i corridoi e, si sa, il pettegolezzo corre veloce. Tra le tante parole sconnesse sentì di una ragazza spartita. Dicevano che il cadavere era finito in una porcilaia.
 Pensò che la notizia facesse al caso suo, che l’avrebbe messo al riparo dai pericoli della giustizia e dai suoi compari ancora per un po’ di tempo.
Sorrise sornione grattandosi i baffi di soddisfazione.